La Brand Awareness
Esempi di Brand Awareness ben riusciti che hanno scritto la storia del marketing
La Brand Awareness (letteralmente, “consapevolezza del marchio”) è un concetto che misura il grado di conoscenza e di consapevolezza del Brand da parte del pubblico a cui si rivolge. All’interno di questo termine, sono contenuti due concetti/fenomeni di neuromarketing molto importanti:
BRAND RECALL
In Italiano significa, letteralmente, il richiamo del marchio. Esprime la percentuale di consumatori che ricorda la marca quando pensa ad una determinata categoria di prodotti e/o servizi.
Il ricordo di un brand specifico si potrebbe verificare anche quando si pensa ad una particolare situazione di acquisto o di utilizzo del prodotto.
Provate a pensare alle scarpe sportive, una categoria molto generica di acquisto. Scommetto che almeno il 70% di voi, se si focalizza sull’idea di calzatura da ginnastica, vede materializzarsi mentalmente il logo della Nike.
Il logo, tra l’altro, per chi non lo sapesse, rappresenta una delle ali della dea greca Nike. Simboleggia la vittoria e, grazie alla sua forma slanciata, trasmette l’idea di movimento e velocità. Perfetto per coloro che sono dei veri sportivi.
BRAND RECOGNITION
La sua traduzione sarebbe riconoscimento del marchio. La riconoscibilità della marca costituisce un grande indicatore del successo dell’impresa.
La notorietà ha sempre portato benefici al business poiché contribuisce ad aumentare il senso di familiarità nei confronti dei prodotti/servizi. Familiarità, fiducia, riconoscimento: sono tutte belle paroline che inducono il consumatore a rilassarsi e comprare con maggiore facilità.
Questa è stata esattamente la scelta strategica di Coca-Cola, il cui slogan “Original Taste” punta sul senso di familiarità, tradizione, qualità e su valori che si possono definire durevoli e coerenti nel tempo. Coca-Cola ha mantenuto un’immagine piuttosto costante, senza compiere mai un vero e proprio stravolgimento della sua immagine. Basti guardare il logo, rimasto pressoché inalterato dagli anni ‘40.
BRAND RECALL +
BRAND RECOGNITION =
HAI VINTO TUTTO NELLA VITA
Attuando le giuste strategie di Brand Awareness, aumenti le probabilità che il tuo Brand venga inserito all’interno della consideration set dei consumatori, cioè quell’insieme di marche tenute in considerazione dal consumatore quando deve compiere una scelta di acquisto tra diversi Brand.
Come si migliora la Brand Awareness?
Abbiamo capito che la Brand Awareness è importantissima nel marketing. Ma come si arriva a costruirla e potenziarla? Un tempo si faceva con i volantini, la cartellonistica, il passa parola. Nel tempo, la pubblicità si è evoluta ed ha messo a disposizione delle aziende dei forti strumenti per veicolare il proprio marchio: prima la radio, poi la televisione.
Oggi puoi utilizzare come cassa di risonanza della tua immagine altri canali ancora, dai Social fino a Google. Un logo potente e un’immagine digitale distintiva sono le basi su cui innestare strategie comunicative su Facebook, Instagram, LinkedIn, Tik Tok. Allo stesso tempo, con un adeguato lavoro SEO, si può riuscire a posizionare il proprio sito web tra le prime pagine del motore di ricerca.
Ci sono dei colossi aziendali che hanno saputo fare del Branding una potentissima arma con cui sbaragliare la concorrenza e conquistare il mercato mondiale. Abbiamo già accennato a due famosissimi marchi (Nike e Coca-Cola), per spiegare meglio l’aspetto teorico e nozionistico della Brand Awareness.
In realtà, in questo articolo si intende analizzare altri due loghi che hanno fatto la storia del marketing: Ikea e McDonald’s. Essi sono così riusciti nel loro intento che, oramai, il loro nome è straripato dal contesto puramente commerciale ed ha assunto un significato molto più ampio. Ci impegneremo a ricostruire la loro affascinante storia.
IKEA
IKEA, signori e signore: un marchio che è diventato un modo di concepire l’abitare, il vivere. 364 negozi in 46 Paesi diversi, per un totale di 10,5 milioni di metri quadrati di spazio espositivo, un’area pari (quasi) all’Abruzzo. Una multinazionale che è entrata nelle case di tutto il mondo e che non ha mai smesso di comunicare con le persone attraverso la sua filosofia ed il suo logo. Logo che, tra l’altro, colleziona 71 anni di storia e ben 6 riprogettazioni.
71 anni di storia
La prima versione è stata creata nel lontano 1951: un classico sigillo di cera lacca di colore rosso. Al centro, il nome dell’azienda, in carattere corsivo minuscolo, contornato da una forma circolare contenente la scritta “kvalitets garanti” (qualità garantita). Ikéa era scritto con l’accento francese, che ritroviamo anche nella versione successiva, del 1954.
Nel ’54, la scritta era posta in diagonale ed in stampatello maiuscolo, che faceva assumere al logo un aspetto più spesso e forte rispetto alla versione precedente.
Il francesismo ci può stupire, visto che oggi l’azienda ha fatto del “tocco scandinavo” il suo cavallo di battaglia. In realtà questo tocco non è affatto un tratto originario, tant’è che anche i nomi dei mobili suonavano francesi, italiani e statunitensi: “Lido”, “Capri”, “Milano”, “Antoinette” e “Texas”. Con l’apertura all’estero, cioè negli anni ’70, l’azienda ha dovuto compiere un notevole lavoro di re-branding, inventandosi quel carattere svedese che l’ha resa ancora più famosa: uno stile d’arredo contemporaneo e riconoscibile, funzionale, parsimonioso, per alcuni, frugale. Colori pastello molto chiari, sedie a dondolo in legno di rovere… il tutto, da assemblare.
La svolta del ‘67
È il 1967: nasce Kurt Cobain, viene lanciata la prima sonda su Venere e Ikea cambia di nuovo logo. Assume una forma più vicina alla versione attuale ma in bianco e nero.
I colori cambieranno a più riprese: dal rosso nel 1981, fino ad arrivare ai colori attuali nel 1983.
L’ultima riprogettazione è avvenuta nel 2018, con l’ingrandimento delle lettere, l’aumento dello spazio vuoto all’interno della lettera “A” ed il miglioramento dei colori a livello ottico.
Una riprogettazione strategica, per dare una migliore leggibilità e visibilità al nome del Brand e che ha reso il logo Ikea solido, monolitico, sicuro ed affermato.
Dalle stalle alle stelle, in tutti i sensi
La storia di Ikea è davvero motivazionale: un ragazzetto di 17 anni della Svezia Meridionale decide di investire una piccola somma di denaro con cui il padre lo premia per i successi scolastici.
Crea un servizio di vendita per corrispondenza e chiama la neonata società proprio IKEA, come acronimo: “I” come il suo nome (Ingvar), “K” come il suo cognome (Kamprad), “E” come Elmtaryd, il nome della fattoria in cui è nato e “A” come Agunnaryd, il piccolo villaggio dello Småland nel quale è situata la fattoria.
Negli anni che seguono, Kamprad modifica il suo corebusiness, passando ai mobili ed all’arredamento. Il suo intento è quello di offrire design funzionali ed eleganti a prezzi molto accessibili, come si capisce da una sua celebre esternazione:
Perché i bei prodotti sono accessibili solo a pochi privilegiati?
Ingvar kamprad.
Dev’essere possibile offrire funzionalità e buon design a prezzi bassi.
IKEA diventa sempre più famosa e celebre non solo in Svezia ma anche oltreconfine. Con il passare del tempo, l’impresa si arricchisce e si evolve grazie ad idee di marketing davvero eccellenti; dallo showroom ai cataloghi, fino all’intuizione geniale di un membro dello staff: l’auto-assemblaggio dei mobili da parte dei clienti.
Quest’idea ha significato due cose per IKEA: abbattimento dei costi e grande coinvolgimento della clientela.
Ingvar passa ben presto dalle stalle della fattoria in cui è cresciuto, alle brillanti stelle dell’imprenditoria.
EFFETTO IKEA e IKEIZZAZIONE
Ingvar ha fatto breccia nella mente delle persone, facendo leva (forse anche inconsapevolmente) su un affascinante aspetto della psicologia umana:
la fatica sopportata per portare a termine un compito accresce in modo esagerato la stima per i risultati raggiunti.
In altre parole, quando le persone costruiscono qualcosa con le proprie mani tendono, alla fine, a sopravvalutare il valore delle proprie creazioni, anche in termini monetari. Gli esperti hanno chiamato “effetto Ikea” questo fenomeno: un po’ perché nella ricerca sono stati utilizzati mobili dell’Ikea, un po’ perché è proprio su questo principio che si basa, in parte, il business model dell’azienda svedese.
Inoltre, alcuni studiosi si sono interessati alla narrazione (molto pregna di ideologia ed etica) raccontata da Ingvar stesso.
Secondo Tony Blackshaw, professore della Sheffield Hallam University, il fatto che Ikea venda mobili da assemblare rifletterebbe, alla base, l’etica luterana del lavoro. Sarebbe, ai suoi occhi, un nuovo modello globale. L’“Ikeizzazione” del mondo, contrapposta all’egemonia del McDonald’s, si baserebbe su un “capitalismo pulito”, composto da elementi di imprevedibilità, in contrapposizione alla prevedibilità totale di McDonald’s (di cui parleremo dopo).
McDonald’s
McDonald’s è nato in un modo molto curioso. Per chi fosse interessato alla storia della più grande catena di fast food del mondo, vi lasciamo il trailer del film che ricostruisce, abbastanza fedelmente, le sue origini, con uno splendido Michael Keaton nei panni di Ray Kroc.
Nel tempo che ci avete messo per guardare il video, McDonald’s ha venduto circa 11.250 hamburger. Su scala mondiale significa 4500 hamburger al minuto, 270mila all’ora. Totale annuo: 2 miliardi e 360milioni di hamburger di McDonald’s cotti, assemblati, confezionati e venduti in tutto il mondo. Un’altra stima su larga scala ha calcolato, invece, 50 milioni di hamburger venduti al giorno, all’incirca, tenendo presente che un panino viene preparato ed assemblato in 112 secondi (mediamente).
Una vera e propria fabbrica di panini, con catena di montaggio inclusa. Si tratta di un modello di business completamente agli antipodi di IKEA, ma comunque celebre e redditizio.
La storia del logo
La storia del logo di McDonald’s segue la crescita dell’attività.
Nel 1940, il logo si divideva su 3 livelli. Era molto semplice ma comunque solido e monocromatico, nero su bianco. Molto spazio veniva dato alla scritta “Barbecue“.
Nel 1948 cambiano le necessità di McDonald’s e, di conseguenza, anche il logo subisce delle modifiche.
Si inserisce la possibilità dell’asporto, richiamata dalla scritta “Buy’em by the bag”; si sostituisce la parola “Barbecue” con “Hamburger“, poiché in quegli anni cresce la domanda di hamburger negli Stati Uniti; infine, appare un piccolo chef sorridente.
Nel 1953, il logo McDonald’s cambia del tutto: l’azienda perfeziona il suo Speedy Service System. Nasce la mascotte Speedee, un piccolo chef dalla faccia tonda come un hamburger che sorride. Trasmette ai visitatori una sensazione di felicità, in grado di attirare un pubblico infantile e, quindi, le famiglie.
Sulla parte inferiore, viene inserita la scritta “Coast to Coast“. Negli anni ’50, infatti, cominciano a diffondersi i ristoranti in franchise McDonald’s.
Nel 1961, appaiono gli archi dorati che richiamano le architetture poste sui tetti dei ristoranti.
Sono archi progettati dai fratelli McDonald’s ed inseriti sopra i ristoranti, con lo scopo di attirare l’attenzione dei passanti.
Gli archi dorati divennero il segno distintivo della catena.
Siamo nel 1968, ad un buon punto dell’evoluzione della Brand Awareness dell’azienda.
Questo logo ci risulta molto familiare e già cominciamo ad avvertire una certa fame, non è vero?
1975: i Golden Arches si affermano e si inseriscono in uno sfondo rosso brillante, come il Ketchup.
L’uso del colore rosso, il colore dell’urgenza, richiama l’istinto della fame e, secondo le strategie di marketing, spinge il consumatore ad acquistare e consumare velocemente.
2003: un’ombra nera aggiunta alla lettera M crea un effetto di tridimensionalità. Ad accompagnare l’emblema, troviamo lo slogan “I’m lovin’ it”. Nasce addirittura un Jingle in collaborazione con il cantante Justin Timberlake e, successivamente, il rapper Pusha T. Oggi è diventato un vero e proprio logo sonoro che caratterizza il brand e lo rende riconoscibile.
2006: le ombre scompaiono, così come lo slogan. Rimangono solo gli archi a forma di M, più saturi e sfavillanti che mai!
Oramai la Brand Awareness di McDonald’s ha raggiunto una maturazione tale da non aver bisogno di riportare il nome dell’azienda nel logo.
2007: il mercato alimentare sta cambiando. Il cibo salutare sta diventando un trend sempre più seguito. Assieme a questa ondata di attenzione per il benessere, nascono nuove istanze di ambientalismo nella popolazione occidentale, soprattutto tra i giovani.
McDonald’s non può fare altro che cercare di mimetizzarsi con la moda dell’healthy food a modo suo. Non può certo smettere di vendere patatine fritte, ma almeno può inserire nel logo uno sfondo di colore verde, che richiama i concetti di “salutare” e “sostenibile”.
Nel 2020, a causa della diffusione del virus Covid-19, McDonald’s ha giocato con il suo logo per lanciare un messaggio e invitare gli acquirenti a mantenere il distanziamento sociale. Gli archi quindi si separano.
MCDONALDIZZAZIONE
McDonald’s è diventato la rappresentazione plastica di un’intera epoca, di un modello economico, di alcune dinamiche legate alla nuova società globale che stiamo vivendo. É diventato l’effige del fenomeno più importante del nostro secolo: la globalizzazione. Si delocalizza, è completamente standardizzato, è estremamente fast, è una catena di montaggio fordiana nel settore della ristorazione. Tutto è concepito per essere veloce, senza sprechi né dispersioni di tempo, denaro ed energie.
Il sociologo G. Ritzer, in un suo famoso saggio, conia addirittura un termine ispirato a questo brand: McDonaldizzazione della società.
La McDonaldizzazione è il processo di omologazione, standardizzazione e spersonalizzazione delle merci e della produzione. Ritzer descrive il fenomeno di iper-razionalizzazione della società contemporanea globalizzata, prendendo spunto dal modello economico e produttivo della catena multinazionale, in cui si presuppone la riproducibilità universale dei principi di efficienza, calcolabilità, prevedibilità e controllo.
La Brand Awareness ai limiti del riflesso Pavloviano
Non so se vi è mai capitato di vedere, mentre siete alla guida, una specie di luce mistica in lontananza. Quella luce di cui tutti parlano dopo esperienze ai limiti della sopravvivenza umana. Come delle falene, non riusciamo ad opporci alla forza attrattiva di quell’insegna luminosa così accattivante. Più ci avviciniamo e più cominciamo ad avvertire un certo languorino allo stomaco, non è vero?
Ora vi racconto uno degli esperimenti più famosi della psicologia moderna e poi traete voi le giuste analogie.
Il medico e fisiologo russo Ivan Petrovic Pavlov voleva dimostrare come qualsiasi organismo con un sistema nervoso sufficientemente sviluppato potesse sviluppare riflessi speciali in risposta al suo ambiente. Per scoprirlo, Pavlov progettò camere insonorizzate in cui tenere alcuni cani, dove l’unico stimolo era il cibo o il suono di una campana. La campana veniva regolarmente suonata prima che al cane fosse data la carne, e così gli animali alla fine impararono ad associare la campana con l’alimentazione. In risposta al suono, i cani iniziavano a salivare ancor prima di vedere o annusare il cibo. I cani erano stati condizionati.
Chiudiamo questa digressione psicologica e torniamo al nostro discorso.
Ovviamente non è colpa nostra se il logo di McDonald’s ci fa venire fame. Ormai, ci sa persuadere troppo bene. Il logo si è trasformato in sapore, è diventato qualcosa che va a comunicare direttamente con la parte più istintiva ed irrazionale (e più facilmente manipolabile) del nostro cervello.
Noi di Weopera non vi promettiamo di riuscire a far diventare il vostro brand così famoso da far sbavare le persone.
Tuttavia, vi assicuriamo che lavoreremo per far crescere la vostra Brand Awareness.
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